No, non è per snobismo o passatismo. E’ che nessuno è ancora riuscito a spiegarmi per quale motivo dovrei nuotare nella stessa acqua sporca in cui torme di sconosciuti scaricano insulti putridi, immondizia a 360 gradi verso tutto e verso tutti, quasi sempre gratuitamente.
Perché? Che cosa ho a che spartire, a parte l’inutilità, con soggetti che scrivono “E chissenefrega” in calce a un post o a un tweet? Te ne frega talmente poco, incommensurabile genio, che non solo ti sei fermato a leggere quel post o quel tweet, sprecando preziosi secondi del tuo impagabile tempo, ma ne hai sprecati altri per commentare e per far sapere al mondo che a te, ma pensa un po’, non te ne frega niente di quella notizia. E non ti sfiora l’idea che al mondo, del fatto che a te non freghi niente di quella cosa lì, non gliene può fregare di meno e scusate il gioco di parole? E non ti basta farlo sapere: devi anche essere offensivo, perché sennò non sei adeguato al contesto. Sei un pesce fuori dall’acqua sporca. E quindi giù con sequele di insulti, che in faccia – i cuor di leone da tastiera – non si azzarderebbero mai a profferire.
Usano nomi di battaglia, questi guerrieri del nulla: roba da far impallidire la genialità comica del “Napalm 51” di Maurizio Crozza. Apri il loro profilo e in mezzo a foto bucoliche e frasi tratte dalle cartine dei Baci Perugina esplodono succhi gastrici, auguri di morte e bidoni colmi di odio. Dottor Jekyll e mister Hyde digitali.
E quindi, perché averci a che fare? Rispetto molti colleghi che coltivano un loro orto sui social postando più volte al giorno pensieri e commenti, a volte centrati a volte meno. Ognuno con il proprio stile, provocatorio alla Feltri, ironico alla Pigi Battista, sportivo (nel senso etico del termine) alla Riccardo Cucchi. Eppure non li capisco. Proprio a Feltri, incontrato a cena dopo molti anni che non ci vedevamo, ho domandato che cosa lo spingesse a buttarsi in quel mare e nuotare tra insultatori e adulatori, entrambe categorie tossiche: mi ha risposto sostanzialmente con un’alzata di spalle. Ovvero, perché si diverte a osservare fino a che punto si spingono le correnti della marea umana. A voler tradurre in modo malizioso: si parli male di me, purché si parli. Ma che bisogno c’è? E a che prezzo?
Sicuramente mi sbaglio, ma credo che non sia utile a nessuno se chi per professione dovrebbe informare o comunicare si mette sullo stesso piano e allo stesso livello di certi frequentatori delle bettole digitali. Ripeto: non è snobismo. E’ una questione di igiene. E comunque, prima che lo dica qualcun altro, lo dico io: tutto ciò che ho scritto finora merita senz’altro un “chissenefrega”.