di PAOLO CARUSO (agronomo) – Dopo diversi anni di battaglie, pochi giorni fa anche in Francia, così come è accaduto in Italia nel 2017, è stata approvata una legge che autorizza i contadini alla vendita di semi che derivano dalla loro produzione. Una pratica ancestrale, bloccata oltralpe sin dal 1930 da enormi interessi commerciali.
I contadini, sin dalla notte dei tempi, solevano raccogliere i propri semi per conservarne una parte e riseminarli la stagione successiva: questa pratica ha permesso agli agricoltori per secoli di rimanere finanziariamente indipendenti, ma diversi governi nazionali nel secolo scorso stabilirono che le varietà coltivate e di nuova istituzione dovevano essere registrate in appositi cataloghi ufficiali e sottostare alle leggi della proprietà dei brevetti.
Anche in Italia la legge sementiera risalente al 1971: recita che i semi, per poter essere venduti dai costitutori, devono appartenere a una varietà vegetale stabile ed omogenea che si distingue per uno o più caratteri dalle altre varietà esistenti. Questi principi ormai diffusi su scala mondiale nella legislazione di settore, hanno determinato una situazione di monopolio da parte delle multinazionali agricole, amplificata maggiormente dalla recente stagione di “merger” e “acquisition!.
Negli ultimi anni abbiamo assistito all’acquisizione di Monsanto da parte della Bayer, alla fusione tra DuPont e Dow Chemical e all’acquisizione di Syngenta da parte di ChemChina, che hanno concentrato il 63% del mercato delle sementi e il 75% di quello degli agrofarmaci nelle mani di sole 3 multinazionali, con un evidente squilibrio di potere contrattuale nei confronti degli agricoltori.
Questo nuovo “ordine mondiale” ha fatto si che quasi il 90% delle varietà agricole tradizionali non siano più coltivate: in pratica un miliardo e mezzo di produttori agricoli e s7 miliardi di consumatori in tutto il mondo sono condizionati da pochi grandi gruppi multinazionali, che dettano le regole di mercato nella vendita dei mezzi tecnici necessari alla coltivazione e all’allevamento, a partire dalle sementi.
L’omologazione determinata dalla legislazione internazionale stride con le pratiche millenarie dei contadini, i cui semi non sono, per natura, né stabili né omogenei, ma la loro coltivazione consente di combattere la standardizzazione di forme, sapori e odori, contribuendo alla tutela della biodiversità, bene preziosissimo per il mantenimento della vita nel pianeta.
Fortunatamente nel 2017 in Italia è stata approvata la legge che consente l’iscrizione di varietà da conservazione al relativo Registro Nazionale, istituendo la figura dell’agricoltore ‘custode’ che è istituzionalmente abilitato a riprodurre e vendere i semi di varietà appartenenti allo straordinario patrimonio della biodiversità italiana e a rivenderli ad altri agricoltori consentendone una maggiore diffusione.
Questa novità legislativa ha fatto rientrare nell’alveo della legalità molti contadini costretti, paradossalmente, a coltivare i loro semi in condizioni di clandestinità, quasi fossero sostanze stupefacenti. La rivoluzione degli agricoltori contro lo strapotere delle multinazionali è partita dalla Sicilia e da altre zone italiane, come l’Alta Maremma, ovvero territori votati alla produzione dei grani antichi, che pur tra mille difficoltà stanno riuscendo a ritagliarsi uno spazio crescente tra i consumatori più avveduti e cominciano ad entrare nel lessico anche di una platea sempre recettiva al connubio tra cibo e salute.
Molte regioni hanno già istituito le proprie Commissioni per valutare le richieste di iscrizione, ma è sicuramente la Sicilia, per il suo ricchissimo patrimonio di biodiversità e per la significativa estensione delle superfici coltivate a fare la parte del leone.
La tutela della biodiversità necessita di filiere commerciali che garantiscano un reddito ai contadini, altrimenti diventa una sterile attività affidata a pochi volenterosi dalle dubbie probabilità di riuscita.
Questo nuovo quadro giuridico, rappresenta un decisivo passo in avanti per porre un argine al dominio di pochi grandi gruppi nel commercio dei semi e per garantire, attraverso la legalizzazione della vendita di semi “antichi”, la creazione di una nuova economia più attenta alla sostenibilità ambientale e sociale, ma con un occhio vigile all’aspetto economico. La materia della gestione delle risorse alimentari, a partire dai semi, non interessa molto il circuito mediatico, ma come era solito dire uno che la sa lunga come Henry Kissinger: “Se controlli il petrolio controlli le nazioni, se controlli gli alimenti controlli i popoli”.