AGNELLI A SCOTTADITO

di CRISTIANO GATTI – Con un’ammissione da geniale Supermanager, “non si può fare un campionato con sei squadre”, anche Andrea Agnelli si arrende all’evidenza e scappa dal suo intrigo. La Superlega dei Supeindebitati diventa ufficialmente un Superflop. Durata: poche ore. Tenuta dei Superclub: ridicola. Reputazione degli stessi: a brandelli.

Se all’inizio ce l’avevano venduto come un patto d’acciaio tra Superpotenti, alla fine torna pietosamente a galla un’antica Supermorale senechiana: si può essere davvero amici solo tra persone perbene. Ma siccome qui il legame era ancora una volta soltanto il denaro, certo non un ideale, è persino consolante scoprire come qualche volta nemmeno il denaro basti, come qualche volta non possa comprare proprio tutto.

Resta ugualmente inteso che tutte queste spietate verità sui cattivi del golpe non ci consentono di fare i manichei e dire che dall’altra parte ci sono i buoni. Che il bene ha trionfato sul male. Parlare di buoni e di bene parlando di Uefa e di Fifa, sinceramente, risulta molto acrobatico. Per gli uni e per gli altri, da sempre, si conferma invece la mesta constatazione di De Maupassant: l’avidità è una bestia famelica.

In questi momenti di retorica spinta, in cui il potere vincitore bercia di trionfo dei valori romantici che non conosce nemmeno più, tra i congiurati è tutto un flagellarsi pubblicamente e pentirsi spietatamente. Il Liverpool chiede scusa in lacrime. Può bastare, verrebbe da dire, in un supremo atto di misericordia. Ma con questi tipi è meglio stare prudenti: solo il tempo ci dirà quanto sono sinceri, se cioè il progetto l’hanno davvero bruciato nel camino o se invece l’hanno semplicemente riposto nel cassetto, aspettando la prima occasione buona. Vale intanto una consolazione per niente piccola: in sostanza, la rivolta di popolo fuori dalle sedi sociali dei club ha inciso pesantemente. Forse, in maniera decisiva. Per la prima volta, sembra davvero che il calcio sia di tutti, visto come la reazione dei tutti ha piegato le trame dei pochi. Se non è la rivoluzione francese, se non sono i moti di indipendenza, resta comunque una ribellione storica.

Quel che resta, sono le verità venute a galla e finalmente annusate da tutti, come sempre succede negli strappi violenti della storia: la Superlega non era il sogno avveniristico di autentici visionari, come un viaggio su Marte, ma la carta della disperazione di nobili con le pezze al sedere, schiacciati dai debiti. Barcellona sempre numero uno (un miliardo), poi chi settecento, chi seicento, chi cinquecento. Guardando in casa nostra, la prima della classe resta la Juve, con quattrocento. La qual cosa non può che scatenare un caloroso applauso all’Agnelli di ultima generazione, questo SuperAndrea che nel giro di pochi anni ha saputo trasformare una società dal bilancio invidiato in una carretta con 400 milioni di debiti.

A lui, più che ad altri, ora restano incollati i peggio pensieri della tifoseria media. D’altra parte, uno come Ceferin, presidente Uefa, dice cose del tipo: “Ne ho viste tante nella vita, ma non ho mai visto persone del genere. Non parlerò molto di Agnelli, è una delle più grandi delusioni, anzi la più grande delusione. Non ho mai visto una persona che potesse mentire così di continuo, è veramente incredibile. Ho parlato con lui sabato pomeriggio, ha detto che si trattava solo di voci, che non c’era nulla sotto. Ha detto che mi avrebbe richiamato e poi ha spento il telefono”.

Di sicuro Agnellino avrebbe qualcosa da dire anche su Ceferin, ma resta il fatto sostanziale: l’epopea del sabaudo Andrea finisce qui. Più bravo a vincere nove scudetti di fila che a mettere in piedi un intrigo. Popolarità finale: peggio di Renzi. Ci raccontiamo però che tutti meritano una seconda possibilità. A lui, con la famiglia che ha, ne offriranno a dozzine. Possiamo immaginarlo in mille posizioni future. Ma per favore non in quella del martire. Quella proprio no.

 

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