di LUCA SERAFINI – Scrivere in prima persona dell’addio a Ennio Morricone sfiora l’insolenza e per questo chiedo subito scusa. Come la mia, quante vite sono state accompagnate dalle sue magie, dai voli altissimi che ha regalato alle nostre menti e i palpiti cui ha dolcemente costretto i nostri cuori. Rendendo capolavori pellicole straordinarie, ha fatto diventare famosi film mediocri: con la sua musica il Maestro ha potuto tutto. Il western è diventato cult molto oltre soggetti e sceneggiature banali o ripetitive, salvo l’accoppiata sublime con Sergio Leone che è stata capace di elevare a leggenda pistoleri e mafiosi, e ha saputo dare dignità persino agli spaghetti in Texas, così come dispregiativamente definivano all’inizio quelle strane trame che uscivano dai saldi canoni dei cowboy contro gli indiani. Ingiustizie della critica, poi inghiottite al botteghino insieme con quell’Oscar riparatore nel 2007 che colmava l’inaccettabile assenza di statuette per neanche uno dei suoi capolavori e quello tardivo alla carriera. Piccolezze umane anche nel grande circo del cinema.
Morricone è una delle pagine del Novecento più luminose del nostro Paese, un paese ricco di estro individuale e aggrappato al genio dei singoli per consolarsi di avvilenti miserie collettive. Ai suoi concerti non ho mai saputo trattenere le lacrime, senza i cd delle sue colonne sonore i miei viaggi sarebbero stati più aridi. Quante volte di notte ho accompagnato la lettura con le sue note, rimettendole da capo, e da capo, e da capo ancora. Ascoltare Morricone è stato inevitabile, soave, necessario. Come rendendo umani killer nella prateria o padrini spietati a New York, il Maestro ci faceva affacciare sulla parte buona del mondo, aprendoci gli occhi sul bello che sta nel fango se sei capace di trovarlo. Ci ha presi per mano portandoci lontano, portandoci con lui nei suoi spazi infiniti.
Ho pianto stamattina perché la colonna sonora della mia vita, come penso quella di moltissimi altri, l’ha scritta Ennio Morricone senza che avessi il pudore di potergliela commissionare. Conoscerlo per soli pochi minuti fu un’esplosione emotiva che mi obbligò a un solo gesto riverente, stringendogli la mano: giù la testa.
Serafini grazie di cuore per aver espresso con tanta umiltà e riconoscenza la stima che anche io sento per quel grandissimo e minuto uomo che ha saputo donare cosi tanta bellezza! Sono certa che le sue musiche ci abbiano raggiunte tutte partendo dalla sua nobilissima anima.