ABOLIRE LO SMART-WORKING E’ BUTTARE IL BAMBINO CON L’ACQUA SPORCA

Amazon suona la campanella e annuncia la fine della ricreazione: fa rientrare in ufficio cinque giorni su cinque tutti i dipendenti dallo smart working. Un dietrofront clamoroso, una fuga in avanti che finisce con una ritirata fragorosa. Ma siccome trattasi di Amazon-Bezos, una sorta di oracolo del successo e del nuovo che avanza, adesso tutti suonano campane a morto sul lavoro da casa e sull’overdose di videocollegamenti.

La solita storia americana, fatta di eccessi e di strappi ad effetto. Personalmente me l’aspettavo, ed è solo una conferma che può essere sbagliato seguire il trend del momento in modo così fideistico, a testa bassa, dentro al branco. L’effetto Covid ha risvegliato le menti effervescenti, figlie di quelle donne sempre incinte che sappiamo, che hanno pensato bene di suggerire che era venuto il momento di desertificare le aziende, com’è bello lavorare in salotto-ho tempo per il pupo, per la spesa-ah che libertà poter lavorare in mutande-belli i collegamenti video-sembra di essere in tv- ecc. ecc. Costretti a stare a casa, l’abbiamo fatto tutti e ci siamo adattati alla bell’è meglio. Ma poi il maledetto virus è stato sconfitto e bisognava la ragione e non le mode. Quelli della Silicon Valley e del club “io sono nato innovativo” sono andati avanti senza esitazioni, finché si sono accorti di aver perso il controllo delle proprie persone. Scommetto l’osso del collo che dietro ci sono anche consulenti super pagati che, a colpi di presentazioni suadenti nei vari board, influenzano le scelte dei capi d’azienda.

Magari discuterne con i manager, ascoltare i responsabili delle risorse umane, studiare i comportamenti dei colleghi chiacchierandoci, fare dei sondaggi, cose di buon senso no? No, il grande capo ha deciso: adesso basta, tutti con la schiena curva sulle scrivanie come negli anni ’60 e via, fino al prossimo contrordine.

Nella vita vera di chi ha provato ad usare la propria testa, dopo aver subito il forte choc della pandemia, ha deciso per un mix di presenza in ufficio e un lavoro da remoto che assomiglia ad un fifty-fifty. Si equilibra il piacere di stare a casa e in azienda il giusto, senza eccedere, né scegliere uno a sfavore dell’altro. La mia esperienza diretta è che bisogna continuare a monitorare il livello di soddisfazione dei colleghi e parlarne anche apertamente, con coraggio e schiettezza. Dopo mesi di riassestamento, si è ancora alla ricerca degli ingredienti perfetti per raggiungere la migliore soddisfazione post-Covid.

Cito uno degli inconvenienti in cui siamo incappati inconsapevolmente – giusto ammetterlo –, rappresentato da una presenza in ufficio un po’ troppo a macchia di leopardo, che crea a volte situazioni di solitudine eccessiva. Che non va bene, perché quando una persona si reca in azienda si aspetta di incontrare gente. La soluzione non va cercata istericamente ricambiando le regole ancora in modo drasticoi, come gli americani di cui sopra, ma trovando vie creative che non facciano invertire bruscamente la rotta. Un esempio per capirci: nella mia azienda è nata l’idea di organizzare un “giorno di aggregazione” al mese in cui tutti sono presenti e si riprovi l’effetto da posti esauriti, che si era persa per strada e che fa sempre squadra. Però in quel giorno non si deve fare niente di ufficiale o di pomposo, basta una chiacchierata nei corridoi, alla famosa macchinetta del caffè, tra le scrivanie. Se si torna a fare per forza i classici meeting, allora si torna davvero al passato.

Nel nuovo mondo dello smart working moderato, bisogna usare fantasia e cervello per sforzarsi di trovare di continuo i giusti correttivi, sono certo che l’assetto migliore si troverà e sarà una strada senza ritorno. Per fortuna. Alla salute di Bezos.Pubblicità

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