A PROPOSITO DI CELLULITE IN SPIAGGIA

Quando si affronta il tema del politicamente corretto il cammino – la scalata, anzi – si fa scivolosa. Fate conto il Cerro Torre insaponato.

La premessa, infatti, è sempre inattaccabile: non è giusto discriminare le persone in base al sesso, alla razza, alle disabilità, all’aspetto fisico, allo stato sociale. E chi potrebbe obiettare? Il rispetto del prossimo, i diritti fondamentali della persona: ecco la base del vivere civile. Vediamo bene che cosa succede quando questa demarcazione morale viene superata: l’uomo crea l’inferno intorno a se stesso.

Il problema sorge quando qualcuno, certo animato dalle migliori intenzioni, decide che è opportuno far presente agli altri la necessità di rispettare a tutti i costi il confine di cui sopra: non di rado assistiamo ad operazioni che puntano sulla denuncia generica, sullo spargimento di vergogna, sull’edificazione di tabù linguistici tanto artificiosi quanto assurdi. C’è il caso, poi, che qualcuno, nel fare la predica agli altri, commetta precisamente il peccato contro il quale si va scagliando.

Prendiamo ad esempio la signora Irene Montero, ministro per l’Uguaglianza nel governo spagnolo di Pedro Sánchez. Nel lanciare una campagna contro quello che ormai viene diffusamente definito “body shaming” (forma di bullismo esercitata facendo del sarcasmo contro i difetti fisici) si è tirata l’azada en los pies, come dicono nel Regno di Castiglia, sparando nei media una gran foto con cinque donne su una spiaggia e lo slogan “El verano también es nuestro”, “L’estate è anche nostra”.

Dove sta il problema? Nel fatto che la signora ha pescato per l’immagine cinque “tipi” di donne che, evidentemente, ritiene a rischio di “body shaming”: una di loro mostra la cicatrice conseguente a una mastectomia, le altre esibiscono peli, cuscinetti adiposi, smagliature e cellulite. Insomma, per metterci in guardia contro il malvezzo di prendere in giro alcune caratteristiche fisiche che passano per “difetti” o “deformità”, la signora tali caratteristiche le isola, le sottolinea e le diffonde. Tutto ciò, secondo lei, dovrebbe servire a “combattere la violenza estetica”.

Personalmente, sono dell’idea che a qualunque sostantivo si può abbinare un aggettivo, e viceversa, ottenendo comunque un certo effetto semantico. “Violenza estetica” è una bella formula ma, a ben guardare, sta al fondo di una serie di significati che la precedono e che non è possibile ignorare. “Estetica”, come sostantivo e non come aggettivo, è una parola che passa per una serie di riferimenti storici e filosofici prima di arrivare alla più banale corrispondenza di “bellezza esteriore” e “aspetto armonico”. L’estetica ha a che fare con la cultura e bisogna dunque stare attenti a identificarla semplicemente come una forma di violenza solo per scongiurare i rischi della cosiddetta “prova costume”. Dovessimo negare l’estetica – o la bellezza tout court – ci toccherebbe biasimare l’autore della Venere di Milo per averle risparmiato ciccia e cellulite.

Alla violenza si arriva solo quando il modello estetico corrente viene imposto, sotto la spinta di interessi commerciali, al punto da creare disagio sociale a chi non riesce ad adeguarvisi: un problema che riguarda i correnti meccanismi economici, comunicativi e culturali. Un problema, soprattutto, che non si risolve con un manifesto, uno slogan e qualche buona intenzione. Le cinque donne di Irene Montero, ministro dell’Uguaglianza tradita, non abbattono il pregiudizio: per assurdo, ne diventano il poster.

Un pensiero su “A PROPOSITO DI CELLULITE IN SPIAGGIA

  1. cristina dice:

    Certo estetica non significa solo aspetto esteriore, per fortuna. E per combattere la violenza degli stereotipi serve un atteggiamento naturalista nel senso più alto del termine, e tanta tanta sobrietà nei linguaggi utilizzati.

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