La gestione della rabbia è uno dei problemi psicologici più diffusi (vedi anche il recente episodio di autolesionismo di Pep Guardiola). Essa può avere origini profonde, in genere legate al rapporto con i genitori e con gli stili educativi ricevuti, ed a sua volta può divenire in alcune situazioni limite fonte di un profondo malessere.
Ci sono persone che reagiscono in modo spropositato quando percepiscono un’ingiustizia anche minima nei propri confronti. Un’infrazione stradale, una guida troppo lenta o un tentativo di sorpasso possono diventare pretesti per reazioni eccessive, dove l’individuo perde di vista il proprio interesse (tornare a casa o andare a lavoro) a causa dell’incapacità a gestire la propria emozione.
Anche la reazione opposta, ovvero reprimere sempre la propria rabbia, in quanto la propria priorità emotiva inconsapevole è evitare la tensione connessa a qualsiasi conflitto, può avere conseguenza negative, a partire dalle difficoltà muscolari per giungere ad una bassa autostima o paura permanente di un confronto.
Alcuni suggeriscono di sfogare la propria rabbia canalizzandola in modo sano, ad esempio praticando arti marziali, ma non sempre funziona. In linea teorica la modalità migliore consiste nell’esprimere la propria rabbia verbalizzandola in modo assertivo, chiarendo le proprie ragioni e l’indisponibilità a subire soprusi, ma è evidente che quando ci si avverte in situazione di inferiorità non è facile assumere questa postura.
Un recente studio giapponese suggerisce un nuovo metodo per placare la rabbia. Pare che scrivere la propria reazione a un incidente o a ciò che ci ha contrariato su un foglio e poi accartocciarlo e gettarlo nella spazzatura, elimini la rabbia.
I risultati sono ancora migliori di quanto prevedessero i ricercatori e in questo può esserci una logica, in una sorta di effetto alone: distruggere un oggetto associato ad un’esperienza negativa aiuta a ridimensionare l’esperienza stessa.
In ogni caso, giapponesi a parte, ricordiamo la saggezza di Seneca, filosofo stoico che nel primo secolo d.C. ammoniva come “la mia rabbia può farmi più male del tuo torto”. Ancor oggi, non si può dire meglio.