A CHE PUNTO SIAMO COL DIABETE

E’ subdola, tentacolare, perversa nelle dinamiche, crudele nei morsi. Il diabete è la piovra delle malattie, il serpente delle patologie. Per sua colpa ho perso mia madre, una sorella e una zia, mentre mio padre ne soffrì sino all’ultimo giorno. I motivi personali di odio sono molti, ma la molla per scavare, aprire uno spiraglio di luce, è stata la confessione in video di Massimo Ambrosini, ex capitano del Milan, il quale ha rivelato qualche settimana fa una notizia di cui gli amici erano già al corrente da mesi: l’ultimogenito Alessandro, terzo dopo Federico e Angelica, è affetto di diabete di tipo 1. Per cui ci si cura (sarebbe più corretto dire che ci si difende, lo si controlla), ma non si guarisce.

Descritto dagli antichi egizi più di 1500 anni prima della venuta di Cristo, il diabete prende il suo nome dal verbo del greco antico che significava “passare attraverso”, alludendo al fluire dell’acqua, poiché il sintomo più appariscente è l’eccessiva produzione di urina che viene compensata dall’assunzione di un’enorme quantità di acqua. In realtà il termine diabete sottintende una vera e propria galassia di malattie diverse (più di una ventina conosciute) accomunate da una caratteristica che le definisce: la presenza di valori di glucosio (zucchero) nel sangue sopra i livelli di guardia.

Come spesso accade in medicina per molte delle malattie croniche, è possibile trattare il diabete ma non è al momento possibile guarirlo, soprattutto quelle forme di cui non si conoscono ancora esattamente le cause, come spiega bene il professor Lorenzo Piemonti, direttore del Diabetes Research Institute e primario dell’UO di Medicina Rigenerativa e trapianto d’organo dell’ospedale San Raffaele di Milano: “Le cause che sottendono la comparsa del diabete possono essere molto diverse. Tutte le persone con il diabete hanno un problema comune: molto, o meglio, troppo glucosio nel sangue. Il motivo per cui il glucosio è elevato è che fa fatica ad uscire da lì ed entrare nei tessuti dove dovrebbe andare, in particolare dopo aver assunto un pasto. Immaginiamo che ci siano milioni di piccole porte attraverso cui il glucosio deve passare e che queste porte abbiamo una chiave e una serratura che permetta la loro apertura. Il diabete si ha quando le porte non si aprono in modo corretto. Il motivo per cui non si aprono può essere legato ad un problema della chiave, che è costituita dall’insulina, o della serratura, che è costituita dalla sensibilità dei tessuti periferici all’azione dell’ormone”.

Il diabete viene sovente associato all’età avanzata e agli scorretti comportamenti alimentari, ma alcune sue forme possono comparire anche nei bambini e indipendentemente dall’alimentazione, come nel caso del diabete di tipo 1: “In questo caso viene a mancare la chiave”, prosegue il prof. Piemonti. “Le cellule che producono l’insulina vengono distrutte dal sistema immunitario e il glucosio resta tutto nel sangue. Questa forma di diabete è in aumento e più l’età dell’esordio è precoce più la malattia si presenta all’improvviso. Questo è particolarmente problematico quando l’esordio avviene nei primi anni di vita. La sua incidenza ha in Europa una distribuzione geografica con un gradiente tra nord, più alta, e sud, più bassa, ma con alcune eccezione. Per esempio in Sardegna l’incidenza è simile a quella della Finlandia, dove stili di vita, ambiente e alimentazione sono profondamente diversi e questo dà l’idea di quanto ancora poco sappiamo sulla natura di una patologia accomunata da qualche fattore sconosciuto”.

E’ accertato che la genetica giochi un ruolo importante come suggerito dalla familiarità: se il rischio di contrarre il diabete di tipo 1 nella popolazione generale è di una persona su 300, la presenza di un familiare di primo grado con la malattia aumenta il rischio ad 1 su 20. Ma ci sono anche altri elementi che possono influenzare l’insorgenza del diabete di tipo 1. La vita fetale, ad esempio, può giocare un ruolo importante sul rischio di sviluppare la malattia. E poi c’è la relazione con l’ambiente con alcune contraddizioni della nostra vita moderna: “L’ipotesi dell’igiene, per esempio”, prosegue il prof. Piemonti, “suggerisce che l’aumento della pulizia nella società moderna abbia portato ad un aumento delle malattie autoimmuni e delle allergie. Secondo questa ipotesi (non da tutti condivisa), la nostra esposizione ridotta a microbi e germi durante l’infanzia potrebbe impedire al nostro sistema immunitario di svilupparsi correttamente, facendolo diventare ipersensibile e reattivo agli allergeni e ad altre sostanze innocue. E’ un’ipotesi, come lo è quella dei contaminati ambientali legati all’inquinamento o di una infezione virale che favorisca l’insorgenza dell’auto-immunità. Al momento però la causa del diabete di tipo 1 non è ancora stata trovata e probabilmente è perché in realtà potrebbe essere frutto di una combinazione di più fenomeni”.

Il diabete di tipo 1 è molto diverso nelle sue cause dal diabete di tipo 2, una malattia della “serratura” più che della chiave, che è più comune negli adulti (anche se purtroppo in incremento anche nella popolazione pediatrica associato al problema dell’obesità infantile) e che è invece molto correlato a peso, stili di vita, ed alimentazione. Il diabete di tipo 1 oggi ha una sola possibile terapia, l’utilizzo dell’insulina per via iniettiva che se non assunta conduce a morte. Ma non mancano le ricerche di frontiera per cercare di prevenire, ritardare o guarire la malattia. Al momento la malattia può essere predetta, ma nonostante la sperimentazione clinica sia intervenuta con diete, farmaci e vari tipi di approcci, non è ancora possibile prevenirla. Recentemente è stato approvato un farmaco negli USA in grado di ritardare l’esordio di 3 anni in soggetti ad alto rischio di sviluppare la malattia. E’ un primo passo frutto i decenni di ricerca, ma sicuramente non la soluzione definitiva.

Alcune ricerche, tra cui quella condotta presso il Diabetes Research Institute di Milano stanno sperimentando approcci rivolti alla possibilità di avere una guarigione della malattia. Dice Piemonti: “Da 30 anni sappiamo che la malattia è potenzialmente guaribile attraverso un approccio cellulare. Infatti, se trapiantiamo le cellule del pancreas che producono insulina, ottenute da donatori di organi, nel fegato di soggetti con diabete di tipo 1, possiamo ottenere il controllo della glicemia senza più utilizzare l’insulina. Ma questo approccio che è riconosciuto come standard di cura anche dalle linee guida ministeriali, può essere fatto solo in un numero estremamente piccolo di soggetti che abbiano forme molto particolari di diabete di tipo 1 non controllabile con la terapia insulinica standard. Le ragioni dei suoi limiti sono due. Da una parte il numero di donatori è basso: un centinaio all’anno a fronte di circa 5000 nuovi casi stimati di diabete di tipo 1 all’anno in Italia. Dall’altra l’utilizzo di cellule derivata da un donatore d’organo necessita l’utilizzo di una terapia con farmaci immunosoppressori per evitare il rigetto”.

E quindi?

“Grazie alla ricerca sviluppata a partire dai primi anni 2000 abbiamo oggi la possibilità di creare cellule che producono l’insulina in laboratorio, a partire dalle cellule staminali pluripotenti, rendendoci indipendenti dai limiti della donazione d’organo e con la possibilità di manipolarle per renderle invisibili al sistema immunitario. Una prima generazione di queste cellule è stata sperimentata dal 2014 al 2021 in circa 50 soggetti dimostrandone la sicurezza e in parte la funzione anche se parziale”.

La notizia è la “Generazione 2.0” negli ultimi 2 anni: le nuove cellule (testate ancora in pochissimi individui) sembrano altrettanto sicure, ma anche in grado di produrre insulina sufficiente per la guarigione e nel 2023 potrebbero essere sperimentate anche in assenza di immunosoppressione: una prospettiva rivoluzionaria, grazie anche a una bio-tecnologia avanzatissima: “La tappa successiva sarà la ricostruzione e o la rigenerazione del proprio pancreas: una frontiera della medicina moderna che ha diversi potenziali applicativi”, conclude il prof. Piemonti.

Pochi giorni fa, al termine di un congresso tenutosi a Berlino, è stato pubblicato un articolo sull’utilizzo delle tecnologie in diabetologia pediatrica: “Lo sviluppo negli ultimi anni è stato clamoroso. La tecnologia di cui i pediatri diabetologi dispongono, solo pochi anni fa sembrava fantascienza. L’arrivo sul mercato italiano del primo sistema di controllo integrato ibrido, cui seguiranno sicuramente altre innovazioni, comporterà un’ulteriore rivoluzione culturale, associata all’accelerazione del processo di innovazione”.

In Italia i bambini sotto i 6 anni affetti di diabete di tipo 1 sono circa 2000 con 400 nuovi casi ogni anno. Per loro esiste un sistema automatizzato di somministrazione di insultina (AID), ma (scrive “Il Foglio”) “da alcuni anni decine di persone, poi centinaia e ora migliaia, stanno sperimentando anche nei bimbi ‘pancreas artificiali fai da te’, i cosiddetti Do-It-Yourself Artificial Pancreas System (Diyaps), basati su algoritmi personalizzati e ‘fatti in casa’ dalla comunità di pazienti o dagli stessi genitori, anche sfruttando talvolta vecchi modelli fuori commercio di altri componenti (microinfusore e sensore). In questo modo i genitori, invece di gestire in modo manuale la glicemia, possono delegare questo compito a un algoritmo, riducendo stress e disagi dei bimbi e delle famiglie. Secondo una stima, contenuta in uno studio pubblicato nel 2021 su ‘The Lancet Diabetes & Endocrinology’, sarebbero almeno 10.000 le persone che si affidano al ‘fai da te’, di cui il 20% al di sotto dei 18 anni. Anche in Italia, in base a queste stime, i casi di ricorso al fai da te sono decine”.

La questione è stata affrontata e ampiamente dibattuta a Berlino, nel meeting scientifico ‘Advanced Technologies & Treatments for Diabetes’ (Attd) nel febbraio scorso. In questo contesto, gli specialisti della Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica (Siedp) mettono in guardia contro i rischi dell’uso del pancreas artificiale fai da te nei bimbi al di sotto dei 6 anni con diabete di tipo 1.

Grazie all’ampia rassegna stampa che mi è stata fornita da Raffaele Senesi, Key Account Manager centro sud Italia Diabetes Care, presso A. Menarini Diagnostic, ho letto: “Questo approccio dei device fatti in casa non è condiviso da larga parte della comunità scientifica internazionale che però, dall’altro lato, indica l’urgenza di promuovere la ricerca e la sperimentazione clinica di più sistemi automatici per i bimbi con meno di 6 anni, affinché nel prossimo futuro tutti i piccoli pazienti con diabete di tipo 1 possano accedere a questi device innovativi in sicurezza. Nel meeting ATTD è stato discusso oggi per la prima volta un documento di consenso da esperti e associazioni di pazienti internazionali, per portare all’attenzione di aziende ed enti di ricerca la necessità di accelerare gli studi di questi nuovi sistemi che hanno già dimostrato livelli ottimali di efficacia e sicurezza nella gestione e controllo della malattia anche dei più piccoli”.

Esiste in Italia dal 2014 l’associazione “Sostegno70 – insieme ai ragazzi diabetici”, [email protected], www.sostegno70.org, cui rivolgersi per informazioni e aiuti specifici sul tema.

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