27 ANNI DI VESPA E VESPISMO, IL NOSTRO MARTIRIO

Sono ventisette anni che Bruno Vespa conduce “Porta a Porta”: è uno dei programmi più longevi della televisione e già questo fa notizia. Riprendendo con la nuova stagione, la Rai ce lo ripresenta con trionfale orgoglio. Nel frattempo, il Nostro ha anche sfornato un numero impressionante di libri, più o meno interessanti, ma che hanno comunque vinto al botteghino, vuoi per la notorietà del conduttore, vuoi per l’infinita pubblicità che essolui ottiene presso la sua vasta e rinomata clientela, soprattutto sulle reti che sarebbero del servizio pubblico, cioè di tutti noi.

Bravo Vespa: perché bravo è bravo. Ha capito qual è il punto debole dei nostri politicanti e ci lavora su, con perseverante astuzia e indefessa diplomazia. Ha colto il lato morboso degli Italiani e ha dato loro i plastici del delitto. Ha annusato il vento con formidabile premonizione: ha creato e disfatto leader, immaginato scenari, candidato personaggi istituzionali. Insomma, ha rappresentato la terza camera della Repubblica, come amano dire i suoi innumerevoli leccapiedi.

Il tutto in pretto stile romano: lisciando il pelo quando era il caso e rabbuffandolo, alla bisogna. Vespa ha incarnato perfettamente il Bernardino da Siena malapartiano: con la boccuccia a zipolo e le mani sempre intente a strusciarsi una con l’altra. Mai scopertamente di parte, ma democristiano nel DNA: centrista perché al centro di tutto c’è lui, con la sua immarcescibile carriera, con il suo vellutato potere. In fondo, Vespa è, semplicemente, vespiano. Un italiano vero.

Tuttavia, non è lui l’obbiettivo dei miei strali, in questo giubilante giubileo: lui fa il suo mestiere e lo fa con gli strumenti propri di quell’ambiente e di quella professione: in chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni, diceva il Sommo Poeta.

Ciò che veramente mi ripugna, è assistere, da ventisette anni, alla sequenza imbarazzante dei politicanti, che vengono da Vespa a genuflettersi,a baciargli l’anello e a ricevere il suo ‘imprimatur’: un’ininterrotta processione di mezzecalzette, di manutengoli, di dilettanti e di volponi, che lo riveriscono e lo omaggiano, come si fa con gli imperturbabili Buddha di porcellana. E lui, benignamente, sorride a mezza bocca, si strofina le mani, annuisce, allude, sottintende, ammicca e, infine, concede la sua paterna e apostolica benedizione al miserabile di turno, che, con questo viatico, può tornare a poltrire su qualche scranno.

Ecco, questo è “Porta a Porta”: una cerimonia laica: un omaggio feudale al signore del tubo catodico.

Ci ha provato anche Fazio ad imitare Vespa, assumendo i toni tragicomici di un understatement da avanspettacolo, lui di sinistra: è riuscito a emulare il maestro in quanto a palanche, ma, quanto a stile, c’è un abisso. Perché Vespa è inimitabile e ci vuol altro che un conduttore che sembra uscito da un film di Nanni Moretti per spodestarlo. Vespa è l’Italia romana: ha tutti gli ingredienti per spezzare le reni alla Grecia, ma, benignamente, si limita ad approvare e a benedire il questuante di turno. E’ il Signore delle mosche: anzi, dei mosconi. Dunque, lunga vita a Vespa. Magari non tutta in tv, per misericordia.

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